Una sola mostra personale, nel 1962. Qualche collettiva tra il ‘56
e il ’63, nel cuneese. Una a Torino nel ’77, e poi basta. Il suo
lavoro non esce dal suo studio. Ma quanto lavora Piero Lerda!
E con quanta determinazione, con quanta fermezza. Segue un
suo personalissimo percorso che, pur restando all’interno del suo
mondo non è affatto al di fuori del mondo. Anzi. Uomo di grande
cultura e di grande apertura intellettuale, Lerda si confronta continuamente
con gli amici artisti, critici, letterati, storici, tanto che
addirittura quando gli viene un’idea si segna per iscritto di parlarne
con l’uno o con l’altro.
E’ un solitario artefice, che scegliendo
di non confrontarsi con un pubblico ed il suo gusto, è libero di
cambiare e sperimentare tutte le tecniche e le soluzioni formali
e creative che gli sembrano adatte ad “organizzare il caos che
trova in sé” in quel determinato momento.
Forte di una tecnica imparata “a bottega” dal pittore Vincenzo
Alicandri, Lerda spazia senza alcun problema dalla china, alla
tempera, ai pennarelli, agli olii, ma quasi mai da soli, piuttosto
combinando più strumenti in una tecnica mista il più delle volte
affidata al supporto della carta o del cartone. Un instancabile ricercatore,
perché l’arte era per lui un allenamento giornaliero alla
libertà.
E la sua libertà consisteva anche nel produrre opere che
pur non venendo esposte al pubblico, erano scrupolosamente
schedate, in previsione di una futura possibile esposizione che
prima o poi sarebbe arrivata. Ed è arrivata, purtroppo, dopo due
anni che se ne è andato, nel 2009, presso il Filatoio Rosso di Caraglio.
Una grande mostra retrospettiva che grazie all’attento studio dell’archivio da parte di Ivana Mulatero, ha finalmente fatto conoscere al mondo le sue opere e i suoi scritti. E forse era anche
un po’ ciò che voleva: essere ricordato attraverso il suo modo
di dipingere, senza dover dar conto a nessuno del perché della
scelta di un certa maniera espressiva piuttosto che di un’altra, di
una tecnica piuttosto che un’altra. Lui quel dibattito l’aveva già
vissuto in se stesso, quando da un titolo, maturato dopo una profonda
riflessione e quasi di sicuro in seguito ad una discussione,
un dibattito, un confronto, un incontro con coloro che gli stavano
intorno, era giunto all’opera.
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Altrimenti perché aspettare così tanto per allestire una mostra,
che pure aveva in animo, come testimoniano
i molteplici Progetti di mostra che ha
lasciato? Ma nessuno ormai può più
rispondere a questa domanda. Ciò
che vediamo noi ora è ciò che
Piero Lerda è stato: un fine
artista, un conoscitore appassionato
di ciò che lo
circondava dal punto
di vista artistico, totalmente
calato
nella cultura di cui è stato protagonista indiscusso e nello stesso tempo uomo poco propenso alla mondanità, spesso fin troppo esibita da alcuni artisti contemporanei.
Le opere presenti in questa mostra, curata dall’instancabile Willy
Darko - promotore e curatore anche delle due belle retrospettive
del 2009-2010, Piero Lerda: I teatri della mente. Opere dal
1954 al 1982, tenutasi presso la Galleria Martinarte di Torino e
Dalla necessità al gioco (1960-1980), presso lo Spazio Juliet di
Trieste - abbracciano un po’ tutto il percorso artistico di Lerda,
dagli Schermi flash , alle Città-giostra dalla serie de L’arte delle
nuove caverne, ai gioiosi aquiloni, simbolo inequivocabile di quella
libertà che l’artista ha sempre ricercato e forse anche trovato.
Una mostra non esaustiva di tutta l’opera, che è molto estesa, ma
che riesce, comunque, a dare un’idea complessiva della lucida
e determinata coerenza con la quale Lerda creava le sue opere.
Anche se cambiava spesso tecnica. Anche se a volte tornava su
idee che sembravano ormai esaurite. Perché in fondo l’artista
non smette mai di organizzare quel caos che casualmente l’ha
generato.
Marilina Di Cataldo
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